Tutto ebbe inizio il venerdì 8 luglio 1519, quando un pastorello sordomuto di Adro di nome Gian Battista Baioni, figlio di Martino, se ne tornava in paese raccontando dell’incontro con una misteriosa Signora vestita di bianco che gli aveva affidato un messaggio per la sua gente.
L’evento era accaduto in una località chiamata «La Cava» per l’abbondante presenza di sabbia, in territorio di Adro, ma allora confinante con Nigoline e Torbiato, a un chilometro e mezzo dalla chiesa parrocchiale. Il posto era chiamato anche «Oneto» per la lussureggiante e fitta vegetazione di ontani e l’abbondanza di acque sorgive.
La testimonianza più significativa che descrive il fatto dell’apparizione si trova in una lettera inviata da Venezia il 3 ottobre 1772 al custode del Santuario. Un documento desunto da un libro molto antico, che si rifà a «esatti processi» anteriori.
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Gli abitanti di Adro subito diedero credito al pastorello recante il messaggio della Madonna. Era nota a tutti, infatti, la disabilità del ragazzo, che adesso parlava e sentiva correttamente. La lingua «materna» l’aveva imparata direttamente dalle labbra di Maria!
Immediatamente deliberarono per la costruzione del Santuario voluto dalla Madonna, proprio nel luogo dove lei era apparsa. Nel 1520, un anno dopo l’apparizione, la chiesetta era già una realtà.
Il decreto del 19 dicembre del 1520 redatto dal rev. Francesco de Caperoni concede il giuspatronato sulla chiesa e il diritto di nomina e di presentazione del rettore alla Curia per l’investitura canonica della chiesa stessa e del beneficio semplice annesso. Tale diritto è riaffermato nelle bolle di investitura a rettore di don Filippo Marzoli (1553) e di don Francesco Pontoglio (1611).
La chiesetta era rivolta a notte. Tre finestre davano la luce: due alle pareti laterali e una, un poco più in alto, sulla porta centrale. Questa porta si apriva su un piccolo spiazzo, mentre una seconda a sinistra dava sulla strada comunale. Due stemmi della Comunità di Adro campeggiavano nella chiesa: «uno nel coro e l’altro sulla porta grande in fondo della chiesa» ben visibili fino ai primi decenni del ‘700. C’erano anche tre altari: il maggiore e due ai lati dell’unica navata. Addossati a destra del coro c’erano: la piccola sagrestia, il campanile e la stanza dell’eremita, addetto alla custodia della chiesa.
Il card. Durante Duranti, vescovo di Brescia (1552-1558), concessee l’indulgenza di 100 giorni per ogni visita al Santuario. Il decreto dell’indulgenza, come attesta il capomastro Andrea Porta era scritto «sopra le due nicchie laterali» della chiesa che vennero coperte con calce, come i due stemmi della Comunità di Adro, per ordine del rettore don Francesco Zini (1711-1722). Non si parla dell’apparizione, ma la concessione dell’indulgenza rileva l’importanza ben presto assunta dal piccolo Oratorio.
Tra il 1520 e 1809 il rettore è scelto dalla comunità civile di Adro, è indipendente dalla parrocchia e gode il beneficio annesso al Santuario. Alla morte del rettore veniva inviato dal Vescovo il vicario economo fino all’elezione del nuovo rettore. Accanto al rettore c’era la figura di una sacrestano-custode, detto «romito».
Il 6 ottobre 1580 S. Carlo Borromeo, in occasione della visita pastorale alla diocesi di Brescia, passò anche per Adro, recandosi nelle numerose chiesette del paese e lasciando alcune prescrizioni anche per la Madonna della Neve.
In un’epoca assai tribolata la Madonna della Cava ha lasciato un messaggio di consolazione e insieme un compito da svolgere. Il bambino sordomuto, pienamente guarito, lo adempie riportando la parola di Maria che invita a edificare una chiesa, a santificare la festa e a rispettare il nome santo di Dio. Sembra di sentire risuonare l’inizio del Decalogo, quello che indica i doveri verso Dio; ma il pensiero di Maria evidentemente va oltre, quando chiede di «mutare la vita in bene vivere».
Tra il 1809 e il 1911 alla Madonna della Neve officiava un rettore scelto dalla fabbriceria parrocchiale e la chiesa era considerata succursale della parrocchia. L’ultimo rettore fu don Giacomo Giuliani, di Brozzo.
Il 1912 segna una tappa importante. Il Santuario è stato affidato ai Carmelitani Scalzi della Provincia Veneta. Accanto al santuario costruirono il convento e una casa per i giovani seminaristi dell’Ordine religioso, chiamati ben presto «fratini», per la tonaca che indossavano durante le celebrazioni liturgiche.
Gli interventi di manutenzione di inizio XVIII secolo si rivelarono inadeguati, dal momento che il flusso dei pellegrini aumentava e la chiesa si dimostrava troppo piccola. Il piccolo Santuario durò fino al 1750 circa, quando la comunità di Adro decise di demolirlo per far posto all’attuale.
La delibera del Consiglio del 26 dicembre 1752 propose di eleggere per deputati alla fabbrica della nuova chiesa il rev. don Giacomo Cozzandi e il sig. Lorenzo Adami. Il rettore don Stefano Raineri rivolse la domanda al vescovo di Brescia, card. Angelo M. Querini, al quale consegnò pure una riproduzione del quadro dell’Apparizione. La Curia permise l’erezione del Santuario e concesse di lavorare nei giorni festivi dopo le sacre funzioni.
Si iniziarono i lavori con la collaborazione entusiasta del popolo.
La comunità di Adro e il rettore Raineri scelsero l’architetto Gaspare Turbini (1728-1802) per il progetto del nuovo Santuario. Grazie a lui il tempietto del 1520 cedette il posto a un capolavoro d’arte. Adro potrà nei secoli essere fiera di possedere nel suo territorio un santuario elegante, armonioso, completo.
Va ricordato anche il munifico benefattore che con larghezza di mezzi rese possibile la costruzione: il nobile Conte Terzi Lana Guerrero Maria di Colombaro.
Don Stefano Raineri, l’infaticabile propugnatore della nuova chiesa, ebbe solo il conforto di vedere gli inizi dei lavori: morì, infatti nel 1761, dopo 28 anni di fedele e devoto servizio alla Madonna della Neve.
I lavori proseguirono rapidamente e il tempio fu completato verso il 1776.
Il Turbini ha creato il suo capolavoro infondendovi la luce del genio e il calore della pietà; entrando nella chiesa si avverte di colpo la strettissima unione di questi due aspetti. All’ammirazione per l’arte si lega il senso di mistero che invita al raccoglimento dello spirito.
La costruzione è a pianta centrale con la cupola ottagonale illuminata da otto finestre, sorretta da due vele che si aprono ai fianchi e scendono alle due cappelle laterali di S. Carlo Borromeo e di S. Francesco di Paola.
Sotto la grande cupola, sulla cui sommità è dipinta la colomba simbolo dello Spirito Santo, vi sono gli affreschi che fanno rivivere quattro profeti «cantori di Maria», mentre sotto le altre due cupolette sono dipinte le allegorie di alcune virtù.
Dal vano chiesa si aprono quattro porte. Quelle di sinistra immettono nella sacrestia e in un locale di servizio; quelle di destra comunicano con le due entrate laterali del Santuario e con la cantoria. Da queste quattro porte si accede anche a quattro scale a chiocciola addossate ai quattro corpi che sorreggono la cupola.
Non si sa come fosse il pavimento primitivo, nel 1851 se ne fece uno in cotto.
Il disegno primitivo del Santuario escludeva il pulpito, la cantoria e i confessionali, poiché erano vietate funzioni religiose, eccetto quelle stabilite tra il rettore e l’arciprete di Adro. Quando, nel 1808, il Santuario passò dalla proprietà del Comune a quella della fabbriceria della parrocchia come «chiesa sussidiaria», cessarono gli impedimenti e anche la Madonna della Neve fu dotata di pulpito e cantoria. Non sono stati trovati i documenti giuridici del passaggio, forse le precarie finanze del Comune e le continue necessità di manutenzione del Santuario consigliarono questa cessione.