Il santuario

Gli Affreschi

Gli Affreschi

All’interno della chiesa, sui pennacchi della cupola risaltano quattro figure di profeti che nei loro oracoli hanno misteriosamente accennato alla Madonna. Ciascun profeta reca un cartiglio con un testo latino.

La Cripta

La Cripta

La cripta (scuròlo), posta sotto il presbiterio, è il cuore del Santuario. Vi si accede attraverso tre scale, due ai lati e una più ampia al centro. Due altre rampe portano dal piano chiesa al presbiterio.

L'affresco dell'apparizione

L'affresco dell'apparizione

Questo affresco si trova a sinistra dell’altare maggiore. Non porta né data né autore. I periti lo fanno risalire a metà del sec. XVI (1550 circa). Quindi abbastanza vicino al tempo dell’apparizione.

Oltre a S. Teresa di Lisieux presso l’altare di S. Francesco di Paola, i Carmelitani hanno posto le statue di S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce: la Chiesa li riconosce tutti e tre Dottori, cioè guide nell’introdurre all’intima amicizia con Dio.

 

Teresa d’Avila (1515-1582), fin dall’infanzia segnata dal dono di una nativa familiarità col mondo di Dio, a vent’anni, per reagire duramente alle proprie inclinazioni mondane, decise di entrare nel monastero carmelitano della sua città.

Qui Teresa si trovò a vivere in maniera conflittuale la dolcissima amicizia con Dio sperimentata nella preghiera e quella con le creature, nutrita da lunghe, anche se buone, conversazioni. Dio stesso la liberò da tali ondeggiamenti, aiutandola a donarsi a Lui interamente.

Nel 1562, fondò un «piccolo conventino, per solo dodici monache», stabilendovi una stretta clausura, uno stile di vita umile e penitente e un clima fraterno. Iniziò così la riforma dell’antico Ordine Carmelitano. All’esperienza contemplativa ella attribuì una finalità apostolica-ecclesiale, persuasa che Dio non vuole vezzeggiare le anime, ma donarle al mondo, come ha donato lo stesso suo Figlio Gesù.

Giovanni della Croce (1542-1591) nacque in Spagna, nel paesino di Fontiveros. A 24 anni, da poco sacerdote, ebbe la fortuna di incontrare la grande Teresa d’Avila, che lo convinse a iniziare con lei la riforma del ramo maschile del Carmelo, fondando un convento a Duruelo. Qualche anno dopo Giovanni, ingiustamente accusato di disobbedienza, fu imprigionato nel carcere conventuale di Toledo. Ma proprio qui Dio lo ricolmò di particolari grazie mistiche che egli cercò di tradurre in poesia. Nascevano così alcuni dei più bei poemi d’amore della lingua spagnola. Divenuto in seguito educatore di frati e di monache, Giovanni provò ripetutamente di sistematizzare la sua dottrina in trattati spirituali nei quali commentava i suoi stessi poemi (il Cantico spirituale, ricordiamo La Salita del Monte Carmelo, La notte oscura, la Fiamma d’amor viva), opere che gli meriteranno il titolo di «Dottore della Chiesa».

Teresa di Lisieux (1873-1897), figlia di santi genitori, divenne presto orfana di mamma. Nel 1883 rischiò di morire per una grave malattia nervosa; ma il 13 maggio guarì improvvisamente: disse che la Madonna le aveva sorriso da una statua collocata nella sua cameretta. Giovanissima, inesorabilmente attratta dalla vita claustrale, entrò nel Carmelo di Lisieux nell’aprile 1888 e assunse il nome di Sr. Teresa di Gesù Bambino. In convento non trovò solo rose, – quelle che poi avrebbe fatto piovere dal cielo come grazie e miracoli – ma la possibilità di pregare più intensamente per la Chiesa, di esercitare l’umiltà più concreta e quotidiana, di sfruttare ogni occasione per crescere nell’amore a Dio e alle sorelle. Nasceva così la «piccola via dell’infanzia spirituale»: un cammino semplice e alla portata di tutti per raggiungere le abissali profondità dell’Amore. I ricordi d’infanzia e delle grazie ricevute hanno dato origine a quella Storia di un’anima che l’ha rivelata e fatta amare in tutto il mondo.

L’altare maggiore non è coevo alla costruzione del tempio, ma successivo, poiché venne realizzato nel 1838 nella parte marmorea da Antonio Galletti di Bergamo che lo costruì in stile neoclassico. Le linee sono semplicissime, con specchi in breccia verde incorniciati in marmo di Carrara e alti sovralzi che affiancano il tabernacolo con colonnette in onice e fregi dorati. Nel 1935 fu rivestita di marmo di Carrara anche la parte posteriore dell’altare; e dello stesso marmo sono i due gradini che salgono all’altare.

L’ancona, posta sul fondo dell’abside, è tardo settecentesca, in stucco, e presenta graziose e sagomate linee rococò. Putti a tutto tondo sono posti sui mensoloni laterali e sul fastigio dal quale discendono festoni dorati.

Qui è il celebre dipinto ad olio che raffigura il miracoloso episodio dell’apparizione. La pala è attribuita a Grazio Cossali, pittore bresciano di Orzinuovi (1563-1629). L’ipotesi è che sia stata eseguita intorno al 1610-1615, e quindi in data anteriore alla costruzione della nuova chiesa, in occasione di significativi lavori di ristrutturazione avvenuti nel 1616.

 

 

 

ALTARE DI SAN CARLO BORROMEO

 

L’altare di S. Carlo si trova, entrando nella chiesa, sulla destra. Si tratta del vecchio altare maggiore rimosso dal presbiterio e collocato al posto di quello rudimentale, già appartenente alla chiesetta primitiva. Fu eretto per intero sul territorio di Torbiato quando la frazione di Adro era ancora comune autonomo e si ebbero rivalità di campanile per la proprietà del Santuario.

Il dipinto sopra l’altare rappresenta la Madonna col Bambino, S. Giuseppe, S. Anna e S. Carlo Borromeo. È di Giuseppe Teosa (1760-1848), pittore di Chiari. Probabilmente del 1816, dato che in quell’epoca il pittore lavorava nella chiesa parrocchiale di Adro.

Il quadro, restaurato nel 1962, fu posto per ricordare la visita di S. Carlo Borromeo compiuta i primi di ottobre 1580. Nel quadro due putti sorreggono la scritta «humilitas» – motto del Borromeo – mentre da una mano del Bambino pende lo «scapolare» del Carmelo, evidente aggiunta posteriore. Questa tela viene giudicata come una tra le opere più significative dell’artista clarense, il quale lavorò di preferenza a fresco e in opere di decorazione.

 

 

 

ALTARE DI SAN FRANCESCO DI PAOLA

 

L’altare di S. Francesco di Paola si trova, entrando nella chiesa, sulla sinistra. Nel 1737 il Rettore don Stefano Raineri, commissionò ai Fantoni di Rovetta il gruppo ligneo di S. Francesco di Paola con un uomo piagato e uno tenuto in catene che gli stanno dinanzi: sono il simbolo della missione del Santo calabrese reso celebre per la sua opera taumaturgica e per l’impegno a perseguire la giustizia in favore dei più deboli.

Demolita la vecchia chiesa, il gruppo venne trasferito nell’attuale Santuario. L’altare però era rozzo e di mattoni. I nuovi custodi, i Carmelitani Scalzi, nel 1931 realizzarono la trasformazione completa dell’altare, modellandolo su quello di S. Carlo. Sotto l’altare è stata posta l’urna di S. Teresa di Gesù Bambino, opera in legno di scultori della Val Gardena. Una iniziativa voluta dopo la beatificazione (1923), la canonizzazione (1925) e l’attribuzione del patronato delle missioni cattoliche alla Santa di Lisieux.

Venne consacrato nel settembre del 1932 dal card. Adeodato Piazza, benemerito del Santuario negli anni che trascorse ad Adro come professore del Seminario Carmelitano e superiore del convento.

S. Francesco di Paola (1416-1507) è diventato caro alla Madonna della Neve: per parecchi anni, dopo la festa patronale del 5 agosto, seguiva un giorno specificamente dedicato ad onorare questo santo calabrese. La sua vita è segnata da uno straordinario spirito di umiltà, da un particolare potere taumaturgico e dall’azione benefica verso i poveri e gli oppressi in favore dei quali non esitava a denunziare pubblicamente i soprusi dei potenti. In viaggio verso la Francia, a Napoli fu accolto da una folla enorme che rischiò addirittura di soffocarlo. Re Ferrante, ricevutolo a corte, gli offrì delle monete d’oro in un ricco vassoio, ma il Santo, dopo averne spezzata una con le dita sotto gli occhi del sovrano, che ne vide sprizzare il sangue, disse: «Sire, questo è il sangue dei tuoi sudditi che tu opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio».

Non meno noto è il miracolo dell’attraversamento dello stretto di Messina. Mentre si recava in Sicilia insieme a due discepoli Francesco chiese ad un barcaiolo di traghettarlo per amor di Dio all’altra sponda. Avutone un rifiuto, stese sulle acque il proprio mantello, ne legò un’estremità alla cima del bastone e, facendone così una vela, navigò fino a Messina.

L’ORGANO

 

La chiesetta primitiva ne aveva uno di proporzioni ridotte, che con la demolizione della chiesetta venne collocato nell’attuale Santuario in un angolo a sinistra del presbiterio, appena sopra la scala. Nonostante innumerevoli riparazioni nel 1814 non funzionava più. Anche quello nuovo, costruito dai fratelli Cadei di Rivatica, ebbe vita non troppo lunga: aggiustature varie lo tennero in vita fino al 1950.

Nel 1959 l’organo dei Cadei, privato delle migliori canne, fu sostituito da quello elettrico, attualmente funzionante, realizzato dalla ditta Ruffatti di Padova.

 

LA CANTORIA

 

La cantoria era stata costruita nel 1819 dai fratelli Cadei di Rivatica. Il disegno dei fabbricieri, nonostante le scarse disponibilità finanziarie, si attuò rompendo la parete a mattino, verso la porta laterale est. L’intenzione era ottima, ma il risultato fu pessimo. Si rompeva l’armonia interna e, comunque, nell’unica grande solennità del 5 agosto si era costretti ad imbastire una cantoria posticcia in basso, presso l’altare di S. Carlo, per orchestra e cantori.

Dopo un secolo circa, nel 1921 si eliminò l’errore del 1819, ridando al tempio, almeno in parte, la sua purezza originale, e per volontà del superiore P. Stanislao Massardi, i Carmelitani prepararono la nuova cantoria: ampia, leggera, aperta, con la ringhiera in ferro battuto, rispondendo in tutto a quella delle scale che portano al presbiterio e alla cripta. Dal 1983 è illuminata dalla vetrata realizzata da P. Costantino Ruggeri.

Sotto la cantoria nel 1961 è stata edificata una bussola, offerta dai reduci della guerra d’Africa. Facilita l’ingresso e l’uscita dalla chiesa senza esporre i fedeli a bruschi cambiamenti di temperatura.

LA FACCIATA

 

La facciata, a mezzogiorno, corrisponde allo stile neoclassico dell’architettura bresciana del XVIII secolo. Essa sembra ricalcare gli schemi adottati da Antonio Marchetti, con il quale Turbini ebbe a collaborare e anche… a litigare. Si svolge secondo un doppio ordine, con marcapiano sporgente e timpano triangolare ed è caratterizzata da lesene simmetriche.

L’iscrizione sul timpano della facciata  del Santuario è in bronzo e sostituisce quella antica in pittura. Fu posta nel 1981: «Qui – l’anno 1519 apparve la B. V. Maria – Sul luogo dell’antica chiesa – fu costruito questo tempio – l’anno 1776». L’antica era in latino e recitava: «Anno mdxix – hoc in loco B. Virgo apparuit – vetere diruto sacello – templum erigitur – anno mdcclxxvi».

Sul centro dell’edificio si innalza il voluminoso tiburio ottagonale con i caratteristici finestroni rotondi, uno per ogni lato, ed il piccolo campanile a pianta quadrata, incorporato nel complesso, non supera, in altezza, la più imponente cupola.

 

 

 

IL «ROMEO»

 

Sul piazzale antistante il Santuario, spicca un porticato a pianta ricurva, detto anche «romeo» (per la somiglianza con gli antichi ricoveri dei pellegrini che si recavano a Roma). È stato costruito nel 1825 su disegno del celebre architetto bresciano Vantini.

In una mappa del paese, esso appare disegnato con il  corrispondente braccio a mattina, così da costituire una specie di anfiteatro davanti al Santuario. Ma questa parte non è mai stata realizzata.

Eretto in forme neoclassiche, a pianta arcuata, in pietrame a secco, il romeo presenta cinque ampie e luminose campate (più una su ciascun prospetto laterale) con arcate in cotto, poggianti su colonne quadre, con un coronamento superiore cordonato e lieve cornicione aggettante. Il manufatto conferisce un effetto quasi scenografico, a esedra, volto a racchiudere lo spazio di accoglienza antistante il Santuario, col basamento sopraelevato, che reca maggiore evidenza all’insieme.

Dal 2008 cinque maioliche, raffiguranti alcuni misteri del Rosario, opera di Fra Serafino Melchiorre, abbelliscono la parete interna.

All’origine il Santuario aveva assunto come denominazione il luogo dell’incontro tra la Vergine e il piccolo Battista Baioni: «Madonna della Cava», «Madonna di via Cava». In seguito per disposizione dell’autorità ecclesiastica i santuari di origine locale furono invitati a legarsi a feste mariane già affermate, secondo lo spirito del concilio di Trento che suggeriva un ridimensionamento del calendario liturgico.

Intanto, nel Seicento aveva preso piede, come devozione popolare, la Dedicazione della basilica di S. Maria Maggiore di Roma che, per il delicato ricordo della straordinaria nevicata del 5 agosto sul colle Esquilino  è chiamata S. Maria ad Nives. Nel 1568 il papa Pio V aveva esteso alla Chiesa universale la memoria di questa festa.

Risultò dunque facile trasferire al 5 agosto la festa in ricordo della «Signora vestita di bianco». Nel corso della visita pastorale di S. Carlo Borromeo (ottobre 1580), il Santuario era già noto come Sancta Maria Nivis. E «Madonna della Neve» è il titolo che si è affermato.

Le attività del santuario

Pellegrinaggio

 

A parte il famoso pellegrinaggio annuale, ormai diventato tradizione, il nostro Santuario è anche meta di tanti pellegrini, non solo dalla Lombardia e dall’Italia, ma anche da numerosi paesi europei e non. Perciò, i nostri Padri cercano di svolgere anche questo particolare servizio, ossia l’accoglienza, in modo particolare i “GRUPPI” di pellegrini (parrocchiali, dei movimenti,…). Anche tu o/e il tuo gruppo, se siete interessati, potete tranquillamente contattarci!

Anche perché ci sono anche varie realtà che potrebbero interessarvi quando arriverete da noi.

LE CONFESSIONI

 

Il nostro santuario inoltre offre l’importante servizio di confessione:

 

Ogni giorno, dalle ore 6.30 del mattino fino alle ore 12, puoi trovare sempre un nostro religioso (nelle domeniche e nei giorni festivi, anche due padri o

di più) disponibile per le confessioni. Così pure il pomeriggio, dalle ore 15 (domenica e festivi ore 14.30) fino alle ore 18.30

La melissa

 

Non si tratta di uno slogan pubblicitario, ma ormai per molti una consuetudine che dura da più di tre secoli: da quando durante un pranzo nel convento carmelitano di Venezia, un religioso si sentì male e il padre priore lo fece rinvenire facendogli annusare l’Acqua di Melissa.

Da allora – dal 1710 – i Padri Carmelitani Scalzi della Provincia Veneta custodiscono gelosamente le sementi dell’antica pianta della Melissa.

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