Gli interventi di manutenzione di inizio XVIII secolo si rivelarono inadeguati, tanto più che il flusso dei pellegrini aumentava e la chiesa si dimostrava troppo piccola. Il piccolo Santuario durò fino al 1750 circa, quando la comunità di Adro decise di demolirlo per far posto all’attuale.
La delibera del Consiglio speciale del 26 dicembre 1752 propose di eleggere per deputati alla fabbrica della nuova chiesa il rev. don Giacomo Cozzandi e il sig. Lorenzo Adami. Il rettore don Stefano Raineri, dinamico e inflessibile dinanzi alle subdole manovre dell’arciprete don Buffoli in disaccordo con l’iniziativa, rivolse la domanda al vescovo di Brescia, card. Angelo M. Querini, al quale consegnò pure una riproduzione del quadro dell’Apparizione. La Curia permise l’erezione del Santuario e concesse di lavorare nei giorni festivi dopo le sacre funzioni, con il consenso dell’Arciprete. Permesso che fu riconfermato nel luglio 1753.
Si iniziarono i lavori di sterro con la collaborazione entusiasta del popolo. Un quadro ex voto del 1779 ricorda la grazia di abbondante pioggia a ricompensa del lavoro gratuito prestato per il nuovo tempio mariano: «Ecco Maria che a ottener si piega – l’acqua bramata a chi per Lei s’impiega – Luglio 1759».
La comunità di Adro e il rettore Raineri scelsero l’architetto Gaspare Turbini (1728-1802) per il progetto del nuovo Santuario. La scelta è quanto mai felice. L’abate Turbini, professore di architettura, è uno stilista perfetto e uno dei più qualificati e celebri artisti del settecento lombardo. Grazie a lui il tempietto del 1520 cede il posto a un capolavoro d’arte, forse la sua opera meglio riuscita. Adro potrà nei secoli essere fiera di possedere nel suo territorio un santuario elegante, armonioso, completo.
Accanto al Turbini va ricordato il munifico benefattore che con larghezza di mezzi rese possibile la costruzione: il nobile Conte Terzi Lana Guerrero Maria di Colombaro. Il suo nome è ricordato ai posteri da un’epigrafe posta all’interno del Santuario nella controfacciata (ora cantoria): «Guerrerius Maria – nob. Co. De Tertiis Lana – Benefactor eximius».
Don Stefano Raineri, il battagliero rettore, ebbe solo il conforto di vedere gli inizi dei lavori. Morì, infatti, nel 1761, dopo 28 anni di fedele e devoto servizio alla Madonna della Neve. I lavori proseguirono rapidamente, se si tiene conto che gran parte degli operai era disponibili solo per alcune ore la domenica e per le feste.
Il tempio fu completato verso il 1776.
Splendore d’arte e palpito di fede si fondono insieme. Il Turbini ha creato il suo capolavoro infondendovi la luce del genio e il calore della pietà. Chi entra nella chiesa avverte di colpo la strettissima unione di questi due aspetti. All’ammirazione per l’arte si lega il senso di mistero che invita al raccoglimento dello spirito.
La costruzione è a pianta centrale con la cupola ottagonale che si eleva snella, illuminata da otto finestre, sorretta da due vele che si aprono ai fianchi e scendono alle due cappelle laterali di S. Carlo Borromeo e di S. Francesco di Paola. Lo stesso motivo si ripete, con squisita simmetria, rispetto alla prima cupoletta all’ingresso e, in parte, a quella del presbiterio.
Sotto la grande cupola (alta 23 metri), sulla cui sommità è dipinta la colomba simbolo dello Spirito Santo, si stendono gli affreschi che fanno rivivere quattro profeti «cantori di Maria», mentre sotto le altre due cupolette sono dipinte le allegorie di alcune virtù.
Dal vano chiesa si aprono quattro porte. Quelle di sinistra immettono rispettivamente nella sacrestia e in un locale di servizio; quelle di destra comunicano con le due entrate laterali del Santuario e con la cantoria. Da queste quattro porte si accede anche a quattro scale a chiocciola addossate ai quattro corpi che sorreggono la cupola.
Non si sa come fosse il pavimento primitivo. Nel 1851 se ne fece uno in cotto, come risulta da una dichiarazione della fabbriceria.
Il disegno primitivo del Santuario escludeva il pulpito, la cantoria e i confessionali, per il semplice motivo che erano vietate predicazioni, confessioni e funzioni religiose, eccetto quelle stabilite da accordi tra il rettore e l’arciprete di Adro. Quando, nel 1808, il Santuario passò dalla proprietà del Comune a quella della fabbriceria della parrocchia, come «chiesa sussidiaria», cessarono gli impedimenti e anche la Madonna della Neve fu dotata di pulpito e cantoria.
Non abbiamo trovato i documenti giuridici del passaggio. Forse le precarie finanze del Comune e le continue necessità di manutenzione del Santuario hanno consigliato questa cessione.